mercoledì 11 maggio 2016


RectaLex

La violenza delle Istituzioni


Questo tipo di violenza non è trattata con l’importanza che merita e soprattutto non è compresa fra i tipi di violenza riconosciuti dal nostro ordinamento e come tale sottovalutata.
È una violenza ancor più grave perché è perpetrata da organi istituzionali in concorso fra di loro. Spesso le vittime sono proprio i minori che ne subiscono la pericolosità.
Tipico esempio è il ricovero del minore nelle Comunità di Accoglienza con una grande superficialità nel diagnosticare “le colpe” dei genitori naturali.
In molti casi abbiamo riscontrato il concorso di molti personaggi che si autoreferenziano reciprocamente e finiscono per stilare una relazione al Tribunale dei Minorenni falsa e affrettata.
L’autorità giudiziaria, quasi sempre, prende per buona la relazione da cui scaturisce una sentenza ingiusta basata su illazioni senza prove che si definisce solamente su indizi. 
Come ebbi già a dire nella mia ultima conferenza stampa alla Camera dei Deputati [1] il 19 aprile 2016, a volte vengono fatti degli allontanamenti senza nemmeno aver conosciuto la famiglia, basandosi unicamente sulla testimonianza di vicini di casa.
I P.M. magari, virgolettano la relazione dell’assistente sociale, la inoltrano al tribunale che, come nel caso da me esposto quel giorno alla Camera, emette un’ordinanza senza aspettare nemmeno la sua relazione che nel frattempo aveva conosciuto la famiglia e che arriverà 5 giorni dopo la decisione già presa dai giudici.
La facilità con cui oggi si allontanano i minori dalla famiglia naturale e si decide della loro vita presente e futura, si concretizza in particolare con l’Art 403 del c.c. che nell’interpretazione distorta in uso permette ad un assistente sociale di allontanare dalla propria casa con l’ausilio e la violenza delle forze dell’ordine, quasi sempre impreparate a questo tipo di azione, i bambini che dovrebbero rimanere nella propria famiglia.
Ci siamo più volte chiesti anche se è l’assistente sociale che ha il compito di decidere questi allontanamenti in maniera autonoma o se è solo il mezzo.

Esaminiamo l’articolo di legge:
 “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”
Quindi si parla di “pubblica autorità” e di “organi di protezione dell’infanzia”.
Allora si dice esplicitamente che sono due soggetti differenti per cui è ovvio che non può essere uno da solo che decide ed effettua l’allontanamento. Ed è anche ovvio che non può essere l’assistente sociale che decide in quanto questi è il secondo elemento, quello che opera (“a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia”). e deve essere autorizzato dalla “pubblica autorità”, il Sindaco, che, a nostro parere, deve  anche dare l’autorizzazione per iscritto.
Oggi fa tutto l’assistente sociale che si prende una responsabilità che non le competerebbe.
Fra l’altro, a mio avviso l’Art. 403, è incostituzionale.[2]

In questi anni di lavoro nel sociale mi è capitato di vedere scritto su una relazione che era stato fatto un allontanamento di tre bambini su cinque con un 403 perché gli altri due i genitori non glieli avevano voluti consegnare! Mi chiedo che tipo di allontanamento è stato fatto!
Se fosse stato veramente un allontanamento urgente i bambini dovevano essere in uno stato di grave pericolo un pericolo continuato, i genitori dovevano essere pericolosi per loro. Quindi chi ha fatto questo allontanamento doveva assolutamente mettere in sicurezza tutti e cinque i bambini, magari anche con l’aiuto delle forze dell’ordine. Se invece ne allontani solo tre sicuramente gli altri due li hai lasciati in grave pericolo! In ogni caso l’assistente sociale ha operato nella maniera peggiore, "da procura". Ma la cosa che mi ha lasciato basito fu quella di leggere che il giudice allontanò gli altri due bambini circa 15 giorni dopo avallando l’operato del professionista e non si accorse della mostruosità che era avvenuta!
Ecco il testo in sentenza:
“Rilevato come la situazione sia nuovamente precipitata ed è preoccupante tanto che il servizio sociale disponeva l’allontanamento dei minori [……] ai sensi dell’Art. 403 c.c. [……] anche se non è stato possibile allontanare le piccole [……] perché si trovavano presso la casa dei genitori ché non hanno dato il consenso al collocamento in struttura delle bambine.” !!!

Il minore viene quindi allontanato dalla famiglia e va in affidamento, ai genitori viene limitata la loro responsabilità genitoriale .
Vediamo ora cosa dice la legge sugli affidamenti, la n.ro 184 del 1993 emendata dalla 149 del 2001[3] :
Art.1 comma 1:
“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.”
Art. 1 comma 2:
“ Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Art.1 comma 3:
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma.”
Art.2 comma 1:
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” E solo al comma 2 aggiunge :” Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.”
Art.4 comma 3:
“Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.”
Art.4 comma 4 “Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.”
Art.5 comma 2:
“Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari [……]

Esaminiamo ora gli articoli uno per volta:

L’Art. 1 Comma 1 è oramai un principio condiviso da tutte le leggi europee e su questo non si discute e, come principio, nessuno si permette di discuterlo.
Quello che invece molte figure professionali che ruotano intorno agli affidamenti si permettono di discutere è l'interpretazione, il famoso “si ma…..” che sentiamo spesso ripetere per giustificare omissioni o addirittura reati commessi volontariamente o involontariamente o per ignoranza della legge stessa.

L’Art.1 comma 2 e l’Art.1 comma 3 sono i punti focale degli allontanamenti.
I minori non possono essere allontanati dalla propri famiglia se questa è povera e lo Stato (leggasi gli organi preposti alla loro tutela), tutti, si badi bene,  non solo gli assistenti sociali, devono aiutare la famiglia in difficoltà.
Dal Quaderno della Ricerca Sociale 19 del Ministero delle Politiche Sociali, nel paragrafo intitolato “Perché si arriva all’accoglienza in contesti diversi dalla propria famiglia di origine?” leggiamo che il 37% dei bambini viene allontanato dalla propria famiglia naturale perinadeguatezza genitoriale”, [4] un termine generico e che non dice alcunché, dando adito a qualsivoglia interpretazione, ma che tende ad aggirare proprio il nostro passaggio di legge. 
Mi spiego meglio: Dicono tutti: “non abbiamo soldi” , non abbiamo personale, non abbiamo tempo, ma nel contempo non si può allontanare un bambino da genitori poveri. Allora i genitori diventano "non idonei a vivere con i propri figli". Non è difficile capire che la povertà porta con se problemi: liti in famiglia, stress, a volte violenza, allontanamento di un genitore, separazioni ecc. Ecco quindi che la famiglia povera diventa “inadeguata” dicitura che autorizzerebbe le istituzioni ad allontanare i minori.  Ma il comma 2 dice anche che la famiglia quando è in difficoltà va aiutata e i problemi vanno prevenuti, cosa che raramente si fa e che poi determina le tragedie di bambini che vengono separati dai genitori, a volte per sempre.
Oramai siamo talmente abituati a queste tragedie che le sottovalutiamo e arriviamo al paradosso: se le istituzioni hanno notizia di una rapina giustamente prevedono l’invio di più macchine delle Forze dell’Ordine per la tutela delle persone. Se invece viene allontanato un bambino le Forze dell’Ordine aiutano la sua sottrazione. E si badi bene in entrambi i casi fanno il loro dovere, perché eseguono degli ordini; quindi non si vuole colpevolizzare chi esegue degli ordini, ma chi glieli da in maniera inappropriata e in deroga alle leggi.
L’Art.2 comma 1 prevede che il minore allontanato sia affidato a una famiglia e dice anche “preferibilmente con figli minori”

Vediamo qual è la realtà dei bambini e adolescenti fuori della famiglia d’origine al 31 dicembre 2012 distinguendoli fra percentuali in affidamento e ai servizi residenziali.[5]

% che sono in affidamento
0-2       anni     35,8%
3-5       anni     57,3%
6-10     anni     61,4%
11-14   anni     54,2%
15-17   anni     33,8%

% che sono nei Servizi Residenziali
0-2       anni     64,2%
3-5       anni     42,7%
6-10     anni     38,6%
11-14   anni     45,8%
15-17   anni     66,2%

Le tabelle si commentano da sole.
Lo stesso Ministero delle Politiche Sociali cosi scrive:
“In merito all’età degli accolti risulta che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si
concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali – rispettivamente il 64% degli 0-2 anni e il 66% dei 15-17 anni. Se per i ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l’accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del caso, per i bambini di 0-2 anni l’incidenza riscontata rappresenta un’evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge 149/01 – [……].”
Ma si è riflettuto ci chiediamo? Sicuramente no: infatti dal 2012 non ci sono più notizie Istituzionali sugli affidamenti di minori e, se vogliamo non tenere in considerazione per pudore la relazione del vecchio Garante dei Minori divulgata nel 2015, lo stesso Ministero non ha pubblicato alcunché. 
Ci chiediamo perché.

Nell’ Art.4 comma 3 si dice che nei provvedimenti “devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.”
Nelle sentenze sono sempre indicati i motivi dell’allontanamento, ma ancora ne devo vedere una che riporti i tempi e i modi in cui l’affidatario deve operare, ne le modalità in cui le famiglie d’origine possano mantenere i rapporti con i propri figli. 
In genere queste modalità sono affidate ai servizi sociali che già, carichi di incombenze, spesso decidono in base alle loro esigenze che sono spesso influenzate da carenza di fondi, personale ecc.
In alcuni casi queste decisioni vengono lasciate alla discrezione di personale molto giovane ed inesperto concedendo loro un potere discrezionale inadeguato al lavoro che potrebbero svolgere e che può decidere della vita futura di una famiglia e dei loro figli 
Queste criticità vengono ancora una volta sottostimate: sappiamo con certezza da studi fatti a livello europeo che i bambini privati di una o entrambe le figure genitoriali  riportano spesso anche numerosi danni fisici quindi, scarso sviluppo e scarsi esiti di salute nel breve e nel lungo termine.[6] 

L’Art.4 comma 4 stabilisce che nell’ordinanza del tribunale venga scritto sia il periodo di presumibile durata dell'affidamento che  il complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.

Il periodo presumibile della durata dell’affidamento non c’è mai, io almeno non l’ho mai visto, ma come al solito viene lasciato alla decisione del servizio sociale con tutte le criticità di cui abbiamo già parlato.
Il periodo massimo di durata dell’affidamento viene chiarito dallo stesso Ministero delle Politiche Sociali che così si esprime:
“Per quanto concerne la durata dell’accoglienza e ricordando che la legge 149/01 individua il
periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi - prorogabile da parte del Tribunale dei
Minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare
da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del 60%
del totale – erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, il 56% nel 2008 e il 60% nel 2011 -.” [7]
  
L’Art.5 comma 2 dovrebbe in particolare agevolare il rientro a casa del bambino favorendo i rapporti con la famiglia d'origine e aiutandola, se problematica, a risolvere le situazioni di eventuale rischio per i figli.
La realtà purtroppo e diversa. 
In genere quando un bambino finisce in affidamento etero familiare la famiglia d’origine è tenuta ben lontana dai figli e niente o ben poco si fa per agevolare un ritorno a casa del minore.
Tuttalpiù si invia quest’ultimo da uno psicologo per fargli sopportare al meglio la sua nuova situazione residenziale e mai la terapia è rivolta ad un suo rientro in famiglia. Per quanto riguarda invece i genitori vengono quasi sempre somministrati dei test per capire la loro cosiddetta “genitorialità” e spesso questi test servono a giustificare gli allontanamenti.
Molto ci sarebbe da dire anche sull’uso di questi test spessissimo inappropriati allo scopo, moltissimo ci sarebbe da dire sulle interviste che vengono fatte, soprattutto ai minori, in cui abbiamo riscontrato incredibili criticità soprattutto nell’accoglienza e il modo di intervistarli.
Non viene quasi mai fatta un’accoglienza all’intervista. Mi è capitato di aver letto in una relazione presentata alla Procura da una accreditata psichiatra che l’intervistatrice abbia delegato una sua ausiliaria all’accoglienza di una minore! 
Dalle Linee Guida inglesi in  Roberta Asperges / Giuliana Mazzoni, University of Hull, “Maltrattamento e Abuso all’Infanzia. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”
Molti bambini saranno ansiosi prima di una intervista investigativa e pochi avranno familiarità con gli aspetti formali della procedura. Pertanto è importante in questa fase cercare di costruire una vera e reciproca comprensione con il bambino, cercando così di aiutarlo a rilassarsi. Per fare ciò, lo Home Office consiglia di parlare inizialmente di eventi e di tematiche non attinenti all’investigazione. [......] I bambini, soprattutto giovani, percepiscono gli intervistatori come figure di autorità, e numerose ricerche hanno trovato che quando tali figure fanno domande il bambino si sforza di rispondere. Nello stesso modo, quando l’autorità offre interpretazioni di eventi o azioni molti bambini si dimostrano d’accordo per compiacenza (compliance). Diventa pertanto necessario che l’intervistatore non dia maggior enfasi alla sua autorità e usi nel migliore dei modi la fase del rapporto per contrastare attivamente la tendenza del bambino a rispondere per compiacere [8]  
            Per quanto riguarda il "modo" di intervistare il minore, è fondamentale come viene formulata la domanda  per avere risposte che riflettano il pensiero dell’intervistato.
La regola per l’intervista dei minori, specie se bambini, è soprattutto la “Pazienza”. Non bisogna avere mai fretta di porre loro domande, ma aspettare e rispettare i loro tempi. Quindi una domanda per volta lasciando che prima completi la risposta precedente in tranquillità. Mai riempire i tempi d’attesa intervenendo in qualsiasi modo, nemmeno facendo commenti, sia positivi che negativi o addirittura con parole inutili e irrilevanti. Bisogna saper ascoltare in silenzio facendo però attenzione affinché questo silenzio non diventi opprimente, non si crei un’atmosfera troppo pesante.

I tipi di domande sono fondalmentalmente quattro:
-           Domande “a risposta aperta
-           Domande “suggestive
-           Domande “specifiche
-           Domande “chiuse

Vanno evitate le domande suggestive e chiuse.
“ [……] Quindi le risposte alla domanda suggestiva, nella prassi, tendono ad essere determinate e influenzate molto dal modo in cui è fatta la domanda più che dalla volontà e dal ricordo dell’intervistato, quindi possono essere fuorvianti (Ceci e Bruck, 1995; Bruck, Ceci e Hembrooke, 1998; Poole e Lamb, 1998; Lamb et al., 1999; Wood e Garven, 2000; Bull, 2000; Mazzoni, 2000; Gulotta et al., 2000; Stemberg et al., 2001;Lamb et al., 2002; Krahenbuhl e Blades, 2005; Mazzoni e Ambrosio, 2003; De Cataldo”[9]

Avremo modo di parlare a lungo di altre distorsioni del sistema affidamenti di minori.
Per ora voglio concludere auspicando una disamina attenta della politica italiana sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie che evidenzia, purtroppo ancora oggi, criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire  “a macchia di leopardo” , con enormi variazioni nel tempo e nello spazio, razionalmente inspiegabili, che stanno a definire la totale assenza di linee guida condivise.
Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
L’istituzione di percorsi o linee guida d’accoglienza, devono  fornire uno strumento operativo ai professionisti dei vari servizi sociali dei Comuni, alle tante cooperative che collaborano con loro alle Regioni e a tutti gli organi istituzionali per realizzare un pensare comune, prassi concrete e condivise, in grado di dare indirizzi certi agli interventi socio-sanitari nell’ambito di tutte quelle attività preposte alla tutela e alla presa in carico di minori 
Linee guida condivise quindi, ma non solo. Alcuni potrebbero eccepire che in alcuni settori esiste una qualche condivisione, ma anche in questi casi gli operatori non sono tenuti ad osservarle perché rimangono semplici raccomandazioni e non sono codificate in leggi. Ecco quindi la necessità che siano approntati studi metanalitici che possano creare nuovi percorsi condivisi e, con quelli già condivisi, che siano cogenti per chi li deve seguire. Quindi dallo studio, alla condivisione, al progetto di legge, alla legge.

Massimo Rosselli del Turco

Delegato per la Tutela dei Diritti dell'Infanzia e l'Adolescenza della città di Mentana



Nota dell'Autore: 

Si declina ogni responsabilità per eventuali errori e/o omissioni e/o inesattezze nonché modificazioni intervenute dopo la pubblicazione della presente, non essendo una fonte ufficiale.



[2] Vedi il Quaderno n.ro 19 “Proposte ed emendamenti alle leggi  per gli affidamenti in Comunità” in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html
[4] Vedi a Pag.9 del Quaderno Ventunesimo “ Statistiche e relazioni Ministeriali sui Minori” di Massimo Rosselli del Turco” in  http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html cf.r con Quaderno della ricerca sociale 19  del ministero elle Politiche Sociali pag.12 http://www.minori.it/sites/default/files/quaderno_ricerca_sociale_19_2012.pdf
[6] Vedi http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html – Terzo Quaderno, «Conseguenze nella qualità di vita del minore allontanato dai genitori» di Massimo Rosselli del Turco, in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html cfr. «Ruolo del pediatra nell'assistenza a minori in affido etero o intra familiare», Pediatrics in review, vol. 22, n. 11 novembre 2012, Moira Szilagyi e ancora l'articolo del dottor Vittorio Vezzetti, Scientific Responsible European platform for joint custody and childhood Colibrì, and Founder International Council on shared parenting in «I danni da deprivazione genitoriale e da stress nell'infanzia»
[8] Vedi Blog Giuridico e Sociale, Quattordicesimo Quaderno  “Proposte di Linee Guida per l’intervista dei minori  in sospetto di abuso” a cura di Massimo Rosselli del Turco pag.20  in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html  cfr. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”, University of Hull di Roberta Asperges e Giuliana Mazzoni pag.10 paragrafo 5.1 “Stabilire un rapporto” in file:///C:/Users/maxrosselli/Downloads/Linee_guida_estere_maltrattamento_e_abuso%20(4).pdf
[9] Vedi Blog Giuridico e Sociale, Quattordicesimo Quaderno  “Proposte di Linee Guida per l’intervista dei minori  in sospetto di abuso” a cura di Massimo Rosselli del Turco pag.27  in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html  cfr. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”, University of Hull di Roberta Asperges e Giuliana Mazzoni  in file:///C:/Users/maxrosselli/Downloads/Linee_guida_estere_maltrattamento_e_abuso%20(4).pdf

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