lunedì 15 agosto 2016

RectaLex

Il problema degli affidamenti fuori famiglia dei minori

Alcuni punti critici del problema degli affidamenti in Italia

1
L’Informazione
2
La mancanza di fondi
3
La mancanza di multiprofessionalità
4
La mancanza di una preparazione giuridica dei CTU
5
Non mettere il Minore al centro della sua vita

1. L’Informazione

Notizie vecchie
Nel nostro paese non abbiamo un’ informazione a livello istituzionale. Si pensi che le ultime notizie sui minori in affidamento risalgono al 2012. Di conseguenza anche tutte le problematiche che attengono agli affidamenti risalgono ad allora. Se quindi non conosciamo come stanno le cose non possiamo sapere come risolvere i problemi perché non li conosciamo, ma abbiamo solo notizie vecchie. 
Il problema diventa ancora più grave perché abbiamo potuto constatare che le notizie, seppur  vecchie, non sono state rilevate nella maniera giusta, sono frammentarie, vaghe, non confrontabili negli anni e soprattutto quando si sono rilevate criticità macroscopiche le istituzioni non hanno fatto niente per risolverle.
Le notizie di cui parliamo le troviamo quasi unicamente nei "Quaderni della Ricerca Sociale" editi dal Ministero delle Politiche Sociali.
L’ultimo Quaderno sulla Ricerca Sociale 31, quello presentato a dicembre 2014, ci da notizie del dicembre 2012 ed è l’ultimo di altri quaderni, fra cui il Quaderno della Ricerca Sociale 26 con dati relativi al 31.12. 2011 e il Quaderno della Ricerca Sociale 19, con dati relativi al 31.12. 2010. Negli anni precedenti sono stati editi altre quaderni.
Quaderno 26
Quaderno 19
Un’altra fonte di informazione è stata  la “Terza Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 recante modifiche alla disciplina dell’Adozione e dell’Affidamento dei Minori, nonché al titolo ottavo del Libro Primo del Codice civile.” Il Rapporto è stato presentato dal Ministero di Giustizia e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Giugno 2013 e trasmesso alla Presidenza il 16 dicembre 2013. I riferimenti esaminati sono relativi agli anni 2007/ 2008/2009/2010.

Notizie poco attendibili
Altro problema, come abbiamo già accennato, consiste nel modo in cui sono state fatte queste rilevazioni. Ad esempio nella rilevazione del 2010 leggiamo fra l’altro:
“ […..] molti sono stati dunque reclutati tra gli operatori dei coordinamenti nazionali delle comunità residenziali, […..] La raccolta delle informazioni ha avuto luogo presso il servizio e si è realizzata tramite intervista diretta ‘'faccia a faccia ai referenti dei servizi,”
È evidente  che se voglio sapere come stanno lavorando delle strutture lo chiedo alle strutture, ma lo faccio chiedere da esterni e non da persone che vi lavorano.
Così è stato fatto nella ricerca “Progetto di ascolto dei minori in affidamento Focus.
“Negli ultimi due decenni i temi che riguardano bambini e adolescenti sono diventati un’area di attenzione da parte della ricerca sia in ambito accademico sia in contesti più legati alla progettazione, realizzazione e valutazione delle politiche sociali.[…..]
Anche se un progetto di ascolto dei minori in affidamento è comunque un tentativo che andava fatto e dal quale comunque sono venute alla luce alcune informazioni interessanti e importanti, purtroppo a nostro avviso, abbiamo conosciuto solamente parte della realtà delle Comunità e delle famiglie affidatarie.
Le criticità in cui si sono svolte e che riportiamo in seguito queste ricerche sono state determinanti per farci ragionare sulla parzialità delle risposte dei ragazzi partecipanti al Focus.
Il coinvolgimento degli operatori dei servizi residenziali educatori, dei Servizi Sociali è stato “molto intenso” e quindi le risposte dei ragazzi non sono sicuramente state libere in quanto non potevano evidentemente mettere in luce eventuali problematiche e disfunzioni che necessariamente molte volte avrebbero coinvolto le responsabilità degli stessi operatori.
Come si evince da ciò la presenza dell’educatore agli incontri è stata “[…..] posta in qualche modo come condizione per la partecipazione dei ragazzi.” http://www.minori.it/sites/default/files/quaderni_ricerca_sociale_relazionel149_2013.pdf  pag.77

Criticità insolute
Sempre nel Quaderno sulla Ricerca Sociale 19 relativo al dicembre 2010 viene rilevato che:
Definito che il 63% dei bambini allontanati dalle famiglie ha fratelli o sorelle (più di uno nel 53%)
E che un minore su quattro sono bambini allontanati da famiglie con almeno altri 3 bambini.
a. Solo un bambino su tre viene messo nella stessa struttura con i fratelli!
b. Il 18% dei minori immessi in strutture o famiglie diverse perde tutti i contatti con i fratelli e
le sorelle
c. Il 18% dei fratelli si incontrano solo alcune volte durante l’anno.
d. Quindi possiamo ben dire che non il 18% ma il 36% si perdono, il doppio!

E ancora:

e. Il 40% dei fratelli si vede almeno una volta alla settimana ma non si dice quante volte?!
f. Il 25% dei fratelli si vede più volte al mese ma non dice mai quante?!
g. Ancora più sconcertante il non aver approfondito del perché almeno un terzo dei bambini che     finiscono in comunità perde tutti i rapporti con il padre e il 16% di questi con la madre.   Sono i cosiddetti orfani di genitori vivi!
            Dal 2010 ad oggi non ci è dato sapere se il Ministero ha trovato una soluzione a queste disfunzioni perché nelle rilevazioni del 2011 e del 2012 non si parla più di questi problemi.

Notizie non definite
La legge 184 /1983 emendata dalla legge 149/2001 sugli affidamenti e le Adozioni (Art.1) così recita fra l’altro:
comma 1
“ Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.
Comma 2
“Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Nelle rilevazioni del 2010 è scritto:
il 37% dei bambini è stato allontanato dalla propria famiglia per inadeguatezza genitoriale.
Che vuol dire inadeguatezza genitoriale? Tutto e niente. Non ci è dato quindi di sapere se questi allontanamenti sono stati leciti o meno. E sempre ad oggi nessuno ce lo ha spiegato.
E stiamo parlando di 11.000 bambini!

2. La mancanza di fondi

Ancora dal dal “Rapporto Cancellieri-Giovannini - Terza Relazione Sullo Stato Di Attuazione Della Legge 149/2001
Sappiamo che:

Anno            Spesa Sociale                         Finanziamento Statale

2009                6.987.759.161                        7,42
2010                6.662.383.600                        5,70
2011                6.362.483.600                       2,80
2012                5.492.483.600                        0,2

La Spesa Sociale quindi, fin quando ci è dato sapere dal 2009 al 2012 è calata dal 7,42 allo 0,2 per cento. Il che farebbe pensare che lo stato sta praticamente e incredibilmente azzerando questo capitolo di spesa. 
Nello stesso rapporto leggiamo a pag.200:
“La rilevazione della spesa sociale dei Comuni, attivata annualmente attraverso l’Istat è attualmente l’unica fonte certa di dati di area socioassistenziale, controllati e validati a livello nazionale e quindi comparabili. Da queste informazioni, si desume che la spesa sociale ha assunto da tempo un’importanza crescente nei bilanci comunali, a sostegno della funzione sociale che i Comuni sono chiamati a espletare. Nell’ultimo decennio, infatti, la funzione sociale dei Comuni si è andata irrobustendo fino ad assumere il valore del 16,6% della spesa corrente (risorse 2009)168, e posizionandosi al terzo posto tra le principali voci di spesa degli enti locali. Risulta estremamente interessante l’analisi del quadro complessivo delle fonti di finanziamento con le quali i Comuni sostengono la spesa sociale. I dati evidenziano che i Comuni finanziano questa voce di spesa per il 70% con risorse proprie; ben più distanziati sono i trasferimenti statali, che si attestano a una copertura di poco più del 16% della spesa, così come le regioni, che incidono con risorse proprie, pari al 14,9%.”
Quindi le risorse a livello comunale ci dovrebbero essere e i Comuni potrebbero far fronte al problema degli affidamenti fuori famiglia dei bambini facendo prevenzione e aiutando le famiglie in difficoltà. Ma non ci è dato di avere una risposta perché non c’è. Ci sono solamente illazioni, deduzioni, notizie che ci vengono da associazioni, a volte da giornali o dalla televisione. Questi fondi prendono la strada di altre destinazioni? Certo che, se non si fa prevenzione, è più semplice inviare un bambino in Comunità nella quale ipotesi tutti sarebbero contenti, meno che i bambini e le loro famiglie.
Allora torniamo al problema dell’informazione: se l’avessimo potremmo prendere delle decisioni, siccome non l’abbiamo queste decisioni non vengono prese e si vive sulla notizia giornaliera e su tamponamento provvisori.

Attenzione però, il fatto che non ci sia Informazione è un’Informazione! 

Uno dei momenti focali degli affidamenti in Comunità dei bambini è il passaggio giuridico. La domanda che si pone è: come funziona la Giustizia in Italia? Come viene tutelato il minore in difficoltà? E la sua famiglia?

3. La mancanza di multiprofessionalità

            Perché la multiprofessionalità
I molti errori, le ingiustizie, la mancanza di formazione continua, di professionalità di alcuni operatori, la discriminazione di genere, i personalismi, la mancanza di tempo e di fondi e tante altre criticità sono alla base di ingiustizie che ogni giorno vengono perpetrate quando si affronta il problema degli affidamenti.
L’idea della creazione delle Unità di Consulenza Multiprofessionale (U.C.M.), nasce soprattutto dall’ormai improrogabile esigenza di una maggiore tutela dei minori e delle loro famiglie, tutela oggi gestita quasi sempre da singole professionalità non sempre all’altezza del loro compito e spesso, come abbiamo già detto,  discriminanti nei loro confronti.
Il singolo giudizio, la singola decisione di relazionare in maniera troppo personalistica e in base a criteri spesso discutibili, la responsabilità di capire un’esigenza o una carenza e i successivi provvedimenti che eventualmente dovranno essere presi per la messa in sicurezza dei minori, ci spinge ad immaginare delle” multi professionalità” che, congiuntamente e con responsabilità comuni, possano dare agli utenti la certezza di una valutazione efficace della loro situazione attuale e una garanzia per un armonico sviluppo psicofisico del loro futuro.  
Ogni volta che lo Stato deve gestire la vita di un minore questi dovrà essere preso automaticamente in carico da una U.C.M. di zona per avere un’ulteriore particolare tutela multidisciplinare

Cosa sono le U.C.M.
Le U.C.M. sono Unità di Consulenza Multidisciplinare per supportare in maniera multi professionale i minori e in generale le famiglie italiane in difficoltà. 
Presso le Regioni. dovranno quindi formarsi Unità di Consulenza Multidisciplinari (U.C.M.) che andranno a integrare i Consultori Familiari delle A.S.L.
Le U.C.M. avranno quindi in particolare una funzione di supporto, di consulenza e programmazione socio-sanitaria per i comuni, regioni e soprattutto di aiuto o di sostituzione delle figure professionali che lavorano per i minori (Vedi: Rosselli del Turco, Sesto Quaderno, pag.3 http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html )

Quali sono le U.C.M.
U.C.M.G.
Unità di consulenza multidisciplinare “Gestionale”
U.C.M.E.
Unità di consulenza multidisciplinare “Esecutiva”
U.C.M.C.
Unità di consulenza multidisciplinare di “Controllo”
U.C.M.I.
Unità di consulenza multidisciplinare di “Informazione”

Le singole unità possono essere anche coadiuvate da cooperative di lavoro specializzate e accreditate presso la Regione. Solamente l’Unità di Consulenza Multidisciplinare Gestionale U.C.M.G.3 e la particolare Unità di Consulenza Multidisciplinare di Controllo U.C.M.C. non possono essere affiancate da cooperative di lavoro.
Tutte le U.C.M. possono, sotto la loro responsabilità, servirsi anche di collaboratori esterni specialisti nelle singole multi professionalità..
Gli utenti pagheranno l’U.C.M. come una qualsiasi prestazione sanitaria (foglio rosa )
Ogni U.C.M. deve possedere la Carta dei Servizi Sociali (linee guida) che deve essere standard per tutte le U.C.M. Italiane.
L’organizzazione, la gestione e la responsabilità delle U.C.M. è di competenza regionale dove sarà dislocata la Direzione Centrale. Nelle A.S.L. di zona sono dislocati i professionisti delle U.C.M.G. e U.C.M.E. Nell’Ufficio del Garante dell’Infanzia e L’Adolescenza regionale sono dislocati i professionisti dell’U.C.M.C. Nelle Università sono dislocati i professionisti delle U.C.M.I.
I professionisti delle U.C.M. sono dipendenti delle Regioni e il loro servizio è gestito ed organizzato dai Consultori dalle Asl alle quali competono l'organizzazione finanziaria e gestionale. Il lavoro delle U.C.M.  rientra nelle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale, tranne che per l’U.C.M.C. che è gestita e pagata dall’ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’U.C.M.I. che è gestita e pagata dalle Università competenti.
Tutte le U.C.M. sono in rete fra di loro, con i Ministeri competenti, con L’Ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, con L’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, con la Commissione per l’Infanzia e l’Adolescenza, con l’Istituto di Statistica, con Le Procure e i Tribunali, con le Regioni, le Provincie e i Comuni. Tutti saranno nel contempo fruitori e fornitori di informazioni. I dati saranno centralizzati in un Data Base al quale potranno  accedere con una password dedicata tutti coloro che ne saranno autorizzati.
Oltre alle informazioni saranno in rete anche i corsi a distanza (distance learning) per La “Formazione Continua” di tutti i professionisti coinvolti gli aggiornamenti culturali nel lavoro delle U.C.M.

4. La mancanza di una preparazione giuridica del CTU

La valutazione che il giudice deve fare nella ricerca delle risposte sugli affidamenti di Minori da lui richieste al Perito del Tribunale incaricato devono basarsi unicamente su acquisizioni scientifiche. Da qui l’importanza di una perizia che non sia influenzata da convincimenti extragiudiziali del Consulente tecnico (CTU).
Purtroppo oggi, sempre più, le relazioni che conosciamo sono discorsive, superficiali, relazioni che tendono ad informare il giudice attraverso convincimenti personali senza fondamenti scientifici veri.
Quando queste perizie sono supportate da test spesso questi sono inadatti alla circostanza proposta dal giudice.
La pericolosità di queste perizie è quindi intuibile. Quasi sempre ne fanno le spese Minori inviati in Comunità, famiglie distrutte dalle separazioni e la Giustizia stessa che perde sempre più di credibilità.
Dal Quaderno di Psicologia Giuridica N.8 pubblicato dello Studio di Psicologia Forense e Assistenza Giudiziaria di Milano, direttore Renato Voltolin:

 “[…..] Tutto ciò, quindi, non solo per precisare l’obbiettivo di questo lavoro, ma anche per rendere ragione della sua parte “critica” che potrebbe apparire eccessivamente rilevante, ma che è ineludibile, dato che è necessario non solo discutere su come dovrebbe evolvere la collaborazione interdisciplinare tra psicologia e diritto, ma anche “denunciare” gli ostacoli che vi si frappongono e che, alla fin fine, finiscono sempre con l’interferire con una equa amministrazione della Giustizia. E’ per questo ultimo motivo che nel corso del presente lavoro centrato (data la sua rilevanza statistica) sul tema della separazione legale, mi vedrò costretto a muovere, in più di una occasione, delle obiezioni e delle critiche ad alcuni colleghi psicologi che operano come consulenti tecnici del giudice. I loro comportamenti e atteggiamenti, che ritengo dovuti essenzialmente alla non conoscenza dei principi e delle norme dell’ordinamento giuridico, hanno infatti l’effetto di comprimere in maniera inaccettabile il ruolo dei colleghi consulenti di parte e, conseguentemente, i diritti delle parti in causa, arrivando, anche attraverso distorte interpretazioni di ruolo, a stravolgere lo stesso spirito che anima l’istituto giuridico in oggetto.[…..]”

5. Non mettere il Minore al centro della sua vita

La carta dei Diritti Fondamentali  dell’Unione Europea
Articolo 24 Diritti del bambino
1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.
2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente.

L’intervista del Minore
Vorrei partire da un articolo pubblicato sulla rivista di Psichiatria, Psicologia e Diritto nel luglio 2011 intitolato “L’ascolto del minore come testimone”
“[…..] Fra le ragioni che hanno condotto le società scientifiche firmatarie del documento ad organizzare e ad affrontare. La Consensus Conference sul Minore Testimone vi sono condivise preoccupazioni per la limitata competenza di operatori che effettuano verifiche sulla capacità di testimoniare del minore e per il frequente ricorso, in ambito giudiziario a metodi e tecniche non adeguate allo scopo.”
Questa critica, con tutta la sua importanza, è rivolta proprio dagli stessi colleghi dei periti di tribunale. Parliamo della Società Italiana di Criminologia, la Società Italiana di Medicina legale e delle Assicurazioni, la Società Italiana di Neuro Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, la Società Italiana di Neuropsicologia, la Società Italiana di Psichiatria e quella di Psicologia Giuridica,  non di un privato.
È sicuramente una costatazione triste di censura ma anche una costatazione di grande saggezza, un riconoscimento delle nostra possibilità di trovare sempre una soluzione. Infatti dopo l’ammissione di colpevolezza sono delineate le nuove Linee Guida per capire come si deve lavorare per non sbagliare più.
Il documento in questione definisce infatti le linee guida da adottare per l’ascolto del minore, per capire cosa è meglio per lui, cosa vuole veramente.
Il passo successivo però spetta al legislatore che dovrà portare in parlamento queste direttive per dare farle diventare leggi dello stato e non lasciarle a semplici raccomandazioni.

Ascoltare non Sentire
          Spessissimo i tribunali, durante una CTU o le Procure, dopo un allontanamento del minore dalla propria famiglia con un'ordinanza o dopo  un 403, decidono l’audizione di minori. 
Ma come vengono fatte queste audizioni, sono rispettate tutte le procedure, le linee guida per accertare la verità dei fatti? Siamo sicuri che questo lavoro venga fatto con scrupolo e soprattutto coloro che sono preposti a farlo hanno tutti i requisiti richiesti e la capacità di eseguire al meglio simili consulenze?
          Il sospetto che ci sia molta trascuratezza e ignoranza nell’affrontare lavori di così grande responsabilità è quantomeno reale. Ogni giorno le associazioni per la tutela dei diritti dei minori e delle famiglie e molti esponenti degli stessi ordini professionali che annoverano tra i loro associati anche gli stessi professionisti che vanno ad espletare le perizie nei tribunali, denunciano casi di malagiustizia dovuta a perizie svolte in dispregio dei minimi canoni della deontologia e della scientificità del loro lavoro. (Rosselli del Turco, Quattordicesimo quaderno, pag.3 http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html )
Primo, essenziale passaggio per capire come deve essere fatta l’intervista è quello di aver ben presente che il minore, oltre ad essere sentito va assolutamente ascoltato. La differenza non è poca ma fondamentale: “Per la lingua italiana ascoltare e sentire sono verbi di significato diverso. Il sentire non richiede un atto di volontà: è un fenomeno di fisica acustica. L’ ascoltare richiede qualcosa di diverso. Comporta accettare di entrare in relazione con l’Altro, recepire e comprendere ciò che vuole esprimere e comunicarci: con le parole, con un’espressione del viso, del corpo, e perché no, col silenzio. Ascoltare significa disponibilità ad accogliere l’Altro e a modificare le nostre opinioni, lasciandoci “fecondare” da nuovi contenuti e significati. L’ascolto, nel tema che stiamo trattando, ha come soggetto attivo il minore ed è strumento per raccogliere il suo pensiero, la sua opinione e i suoi desideri, all’interno di una vicenda processuale che lo tocca da vicino.”
(Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia Forense e della Comunicazione Dott.ssa Loredana Palaziol Psicologa – Psicoanalista SPI - Tutor: dott.ssa Giulia Capra Docente: dott.ssa Anna Balabio; “L’ascolto del minore e la legge 8 febbraio 2006, n. 54:dalla norma all’incontro”Pag.11 http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/annoXIV,%20n%201/L%27ascolto%20del%20minore%20e%20la%20legge%208%20febbraio%202006%20n%2054%20dalla%20norma%20all%27incontro.pdf )

La Comunicazione con il Minore
Dice Campbell (1979) “La comunicazione è la trasmissione di idee, emozioni, atteggiamenti e atti da una persona all’altra”
Noi quindi percepiamo i messaggi che ci vengono trasmessi principalmente attraverso una comunicazione non verbale (“come”) e solamente per un 10% con le parole.(“che cosa”). 
L’intervistatore quindi deve capire che se vuole relazionare con il minore deve avere ben presente che la comunicazione ha un valore di processo interattivo e non unidirezionale.
“La Scuola di Palo Alto, in California, - leggiamo in “L’ascolto del minore e la legge 8 febbraio 2006, n. 54: dalla norma all’incontro” - negli anni ’60 del secolo scorso ha studiato gli aspetti pragmatici della comunicazione, costruendo un modello interpretativo di relazione interpersonale (e di psicopatologia), particolarmente attento agli aspetti non verbali della comunicazione umana (Watzlawick e coll.,1971). I dati della pragmatica, infatti, non sono solo le parole del discorso (CV), ma anche i fatti non verbali (CNV) che ad esse si accompagnano, ovvero tutti quegli aspetti che connotano il discorso, oltre l’aspetto semantico: “i segnali gestuali, mimici e posturali, ma anche gli aspetti spaziali (prossemici) delle interazioni” (Poli,1980). Quello della CNV è un concetto fondamentale nello studio della comunicazione fra le persone, perché consente di ampliare il campo di osservazione all’interno della relazione.”
Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia Forense e della Comunicazione Dott.ssa Loredana Palaziol Psicologa – Psicoanalista SPI - Tutor: dott.ssa Giulia Capra Docente: dott.ssa Anna Balabio; Pag.12 (http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/annoXIV,%20n%201/L%27ascolto%20del%20minore%20e%20la%20legge%208%20febbraio%202006%20n%2054%20dalla%20norma%20all%27incontro.pdf )
 Il comportamento del minore e di tutti noi non ha un suo opposto, quindi non è possibile non comunicare ma ogni volta che comunichiamo con una persona anche nel silenzio noi mandiamo messaggi e sosteniamo un comportamento che ci relaziona con la persona che abbiamo difronte. Quindi riceviamo sempre un’informazione sulla nostra relazione reciproca. Ma la comunicazione non verbale ha bisogno per essere completa di potersi riferire ad un contesto in cui si attua, allo spazio-tempo in cui ci si scambiano le informazioni ed anche alle circostanze, ai momenti storici e psicologici in cui avviene questo interscambio.

L’Osservazione del Minore
“[……] il significato di ciò che accade e la motivazione per cui accade - leggiamo ancora in “L’ascolto del minore e la legge 8 febbraio 2006, n. 54: dalla norma all’incontro” - non sono dati estrapolabili dall’osservazione del comportamento. Infatti, per accostarci al significato che l’esperienza assume per il soggetto, all’interno della relazione, dobbiamo ricorrere “alla modalità conoscitiva propria del comprendere” attraverso ”l’approccio psicodinamico e fenomenologico” (Fornari,2008).[……] L’interazione tra l’osservatore e il fenomeno è ovviamente di grado molto diverso, a seconda che si tratti di osservazione di fenomeni fisici o, viceversa, di osservazione di esseri viventi, ma diviene di primaria importanza quando l’oggetto di indagine è un altro essere umano. Qui il principale strumento di indagine è il ricercatore stesso: “la sua interazione col soggetto fornisce la certezza su cui si fonderà la spiegazione” (Hutten,cit.). .Al tema dell’osservazione come strumento di conoscenza della persona e della relazione interpersonale la ricerca psicoanalitica dà il suo contributo ponendo al centro dell’atto osservativo la relazione soggetto-oggetto. “L’uomo è costituito prettamente di relazioni; la relazione è pertanto la via migliore per conoscerlo e l’unica area di indagine veramente osservabile” .( Borgogno, 1978) Come scrive Aron (2004): “la mente stessa è un costrutto relazionale e può essere studiata solo nel contesto relazionale con altre menti”. Secondo il modello psicoanalitico, pertanto, l’osservatore si costituisce come il principale strumento di conoscenza e l’osservazione, così intesa, non é un atto impersonale e asettico, ne tanto meno passivo; non può fondarsi solo sul guardare, ma deve contemplare al suo interno l’essere e il sentire [……]” (Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia Forense e della Comunicazione Dott.ssa Loredana Palaziol Psicologa – Psicoanalista SPI - Tutor: dott.ssa Giulia Capra Docente: dott.ssa Anna Balabio; Pag.15)
E qui torniamo all’Empatia che si deve stabilire fra l’intervistato e l’intervistatore, quella comunicazione che ci permette di percepire l’esperienza degli altri, ed certamente anche della nostra. Quindi ci da la possibilità di porci davanti ad uno specchio (autoosservazione) per capire chi siamo e quindi per avere lo stesso tipo di comunicazione con l’altro. Ognuno di noi ha la possibilità di conoscere l’altra persona se conosciamo noi stessi aprendo l’unico canale di comunicazione universale, la nostra consapevolezza di essere uomini nella sua complessità.

Il Bambino che non riconosciamo

 (Il piccolo principe 1943)

“Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato “Storie vissute della natura”, vidi un magnifico disegno.  Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale.
C’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla.
Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede”.
Meditai a lungo sulle avventure della jungla.  E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno.
Il mio disegno numero uno. Era così:

Disegno della pancia di un boa

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava.
Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” .
Il mio disegno non era il disegno di un cappello.
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.
Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa.
Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.
[…..] Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore.  
[…..] I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta.
[…..] Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino.
Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato.
Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna,  mi rispondeva: “E’ un cappello”.  E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle.
Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte.
E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.”

Massimo Rosselli del Turco